Ascoltando Django Reinhardt e i suoi giri di chitarra swing ho deciso di scoprire meglio questo popolo che geograficamente abita in decine di stati ma che obiettivamente non esiste.
Hanno radici e tradizioni che si sono sporcate dal moderno, dalla miseria e dalla loro stessa convinzione di non essere interessati né dal ricordare da dove vengono e né da dove vogliono andare, oppure semplicemente stanno bene così.
Siamo in grado oggi di curiosare su come vivevano (vivono, vivrebbero?) e la musica che suonano (che suonavano? che suonerebbero?) attraverso registi di discendenza gitana come Tony Gatlif e autori che hanno ci raccontato aspetti del proprio paese come l'Emir Kusturica del suo primo visionario periodo. Divagazioni punk grazie al baffo di Eugene Huzt dei Gogol Bordello e colonne sonore dedicate a quel sottobosco di etnie musicali che è la Turchia (il regista Fatih Akin, già autore di La Sposa Turca).
La loro estetica è il non averla. Quando si dice cose a caso no?
E si collezionano ispirazioni e tendenze.
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